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RIVISTA DELLA FAGR-Editore
UN VANDALISMO CON UN DOPPIO SCOPO 
 
Ad Atene nel 415 a. C. ci fu un grande sobbuglio. Era in atto la Guerra del Peloponneso (in cui combatterono le due potenze greche Atene e Sparta) e in città poco prima della partenza di una spedizione in Sicilia a capo della quale vi erano i generali Alcibiade e Nicia, furono trovate mutilate le erme (delle teste di uomini barbuti scolpite su pilastrini quadriangolari). Gli antichi greci erano parecchio superstiziosi e dopo questo fatto gli ateniesi pensarono che quell'esercito partiva sotto una cattiva stella; si cercò quindi di fermarlo, ma senza successo. La spedizione partì a mezza estate quando tutte le indagini per scoprire chi aveva osato commettere il sacrilegio di rovinare le erme erano risultate nulle. Alcibiade aveva molti oppositori polici che non volevano partisse in modo da evitare di vederlo poi tornare da triofatore, quindi fecero di tutto per danneggiarlo. Essi continuarono le indagini sulle erme quando partì per la Sicilia e incarcerarono onesti cittadini per strappare confessioni in grado di inimicargli il popolo. Alla fine i suoi nemici politici riuscirono a ottenere di metterlo a processo e lui venne richiamato in patria. Il generale capì che lo volevano morto, così fuggì a Sparta per cercare protezione. Naturalmente chi gli voleva male non aspettava altro per condannarlo a morte in contumacia con l'accusa di tradimento. Gli scrittori antichi che raccontarono questa vicenda furono: Tucidide, Andocide, Cornelio Nepote, Diodoro Siculo e Plutarco.  
Gli storici moderni ormai concordano sul fatto che lo "scandalo delle erme" considerato dagli ateniesi un atto di sfida verso la religione tradizionale e soprattutto un  presagio infausto, altro non fu che un mezzo escogitato dagli oppositori di Alcibiade per liberarsi di lui. 
(FAGR 19-04-2024)