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RIVISTA DELLA FAGR-Editore
LE CALUNNIE CHE IL TEMPO NON CANCELLA 
 
La calunnia molto in voga ancora oggi, dai tempi dei tempi è sempre esistita e come attualmente, si usava per distruggere gli avversari in modo vile quando non si riusciva a farlo in pompa magna. Correnti filosofiche parlano del tempo come “rivelatore di verità”, tuttavia alle volte le calunnie non si cancellano nemmeno con il passare del tempo, anzi per strano che sia, diventano perfino fatti storici accettati. Uno dei peggiori casi in cui il tempo non ha portato a galla in modo deciso la verità, è quanto accaduto al primo imperatore di Roma, Ottaviano Augusto (63 a.C.- 14 d.C.), il quale, nel corso dei suoi cinquant’anni di governo, si conquistò è vero la fama di uomo di grande pazienza, moderatezza e tatto, ma non riuscì mai a togliersi una “macchia” dall'eccellente reputazione procuratagli dal suo acerrimo nemico Marco Antonio. Al tempo dell’uccisione di Giulio Cesare nel 44 a. C.,  il suo rivale era console ed aveva il pieno potere a Roma (fu lui a leggere in pubblico il testamento di Cesare in cui nominava erede il pronipote Gaio Ottavio lasciandogli anche tre quarti del suo patrimonio). Per Marco Antonio fu uno shock scoprire di non essere stato scelto lui come erede di Cesare e continuò ad autoproclamarsi il capo  politico di Roma, usurpando l’eredità che spettava di diritto a Ottavio (divenuto Ottaviano in seguito dell’adozione), allora appena diciottenne. Fu in questi mesi che Ottaviano mostrò tutto il suo coraggio e forza incrollabile nel pretendere ciò che gli spettava di diritto, senza lasciarsi intimorire dal console di ben vent’anni più anziano di lui. Non si tirò mai indietro, organizzò lui i giochi pubblici in onore del padre adottivo (i designati avevano abbandonato il compito per paura di ritorsioni); pagò di tasca propria vendendo i suoi beni in modo da dare al popolo i sesterzi promessi da Cesare in testamento. Il fatto che un ragazzo giovane se la cavasse benissimo nel passargli davanti proprio non andò giù ad Antonio, così si inventò che aveva pagato dei sicari per ucciderlo; voleva un pretesto per farlo incarcerare e condannare, ma il ragazzo non fuggì, come gli aveva suggerito anche la madre spaventata, ma rimase dov’era sapendo di non dover temere nulla essendo innocente. Venne infatti chiesto a Marco Antonio di far testimoniare pubblicamente i sicari e questi si ritrovò così a dover far cadere la questione, facendo comprendere apertamente di essersi inventato tutto. La brutta figura lo costrinse a partire fingendo di volersi vendicare di Bruto, (in realtà meditava altre vendette). Gli svariati tentativi di uccidere il giovane futuro Augusto da parte di Antonio furono però sempre vani.  Antonio abbassò le arie vedendosi sempre da lui sconfitto con grande astuzia, ma non glielo perdonò, perciò iniziò la sua campagna di fango con grande impegno. Prima lo accusò di essere stato scelto come erede di Cesare per avergli fornito favori sessuali, ma questa trovata che infangava anche il nome di Cesare stesso, non venne creduta vera nemmeno dagli uomini al comando di Antonio; poi fece arrivare a Roma voci di vigliaccheria e persino di crudeltà verso i nemici catturati da Ottaviano. Marco Antonio raggiunse il culmine dell'infamità facendo portare la testa di Bruto a Roma per essere gettata ai piedi della statua di Cesare; fece credere che era stato un  ordine del giovane figlio adottivo del defunto dittatore. Ancora adesso questa azione viene creduta un fatto storico reale perché riportato da Svetonio, ma Ottaviano Augusto non avrebbe mai compiuto una azione del genere; per prima cosa egli sapeva che Giulio Cesare l’avrebbe disapprovata (è risaputa la sua rabbia quando venne decapitato suo genero Pompeo Magno dopo essere stato sconfitto) e non sarebbe mai andato contro ai principi dell'amato padre adottivo. Se il tempo non sempre fa scoprire la verità, lascia però delle tracce per chi cerca attentamente e una di queste possiamo trovarla in Lucio Sestio Albaniano Quirinale (73 a.C. -19 a.C.), il quale risulta il primo tra i sostenitori di Bruto e proscritto dai Triumviri per essersi rifiutato di tradire l’uomo a cui aveva giurato fedeltà. Ottaviano però lo graziò e ottenne da Sestio la totale fiducia per il resto della sua vita, sebbene l’uomo continuasse a tenere a casa propria il busto dell'amato Bruto (Augusto non obbligò mai nessuno a distruggere le statue di Bruto, né dalle città né dalle abitazioni private). Quale persona tanto fedele a qualcuno come lo fu Sestio verso Bruto, al punto da preferire la morte piuttosto che ripudiarne il ricordo, sarebbe stato legato in amicizia e stima all’uomo che lo avrebbe fatto decapitare per gettarne la testa ai piedi di una statua? Marco Antonio comunque finché visse continuò a screditarlo accusandolo di vigliaccheria e crudeltà. Tutta la vita di Augusto però prova che non era spietato, mentre in quella di Antonio al contrario si raggruppano molte crudeltà, ciononostante parecchi poeti gli credettero e lo esaltarono con romanticismi lontanissimi dal suo vero carattere. Marco Antonio davvero di crimini ne commise tanti a causa della sua avidità e brama di potere; era lui che faceva amputare i corpi dei nemici con grande spietatezza (come dimostrato da ciò che inflisse a Cicerone).  Il suo continuo attentare alla vita del giovane Ottaviano fu la causa della morte di Azia, madre di Augusto, la quale morì di crepacuore un anno dopo la morte di Cesare. E che dire della sparizione della terza moglie di Cesare, Calpurnia? L’ultima cosa su lei nota agli storici dopo l’assassinio del marito, fu che Antonio la obbligò a consegnargli ogni cosa appartenente al dittatore; della donna dopo non si seppe più nulla. Una persona intelligente come Giulio Cesare poi, deve sicuramente aver riconosciuto il vero carattere di Marco Antonio e per questo gli preferì un ragazzo di diciotto anni di cui deve invece aver ammirato  l'acume e la cultura. Ciò che Augusto riuscì a fare nel corso della sua vita dimostra anche la lungimiranza che Cesare ebbe nell'affidare al pronipote il suo nome, il quale riuscì a renderlo il simbolo per eccellenza di potere e grandiosità.  
(FAGR 29-10-2023) 
 
"Ritratto di Augusto" di Ingres (1780-1867) 
 
 
 
 
 
 
 
Bibliografia: 
Augusto. Gli atti compiuti e i frammenti delle opere - A cura di Luciano de Biasi e Anna Maria Ferrero, 2013, UTET. 
Grandezza e decadenza di Roma -Opera completa libri I, II, III, IV, V di Guglielmo Ferrero, 2020, Fermento.